L’ho detto?

Fa freddo.

Un freddo pulito da giornate invernali col sole.
Quelle giornate invernali col sole che ti viene voglia di stare un po’ al parco e poi cominciare a fare cose per te e per la casa, finché la sera non cala, le luci nelle case si accendono e tutto quello che desideri è un divano, un plaid e una zuppa calda.

Sto invecchiando? Forse sì.
Me ne sono resa conto notando il fatto che la fine dell’estate non mi procurava più alcuna nostalgia ma anzi, l’inzio di Settembre, mi metteva addosso energia e voglia di fare.
A proposito di zuppe, ne mengerei e ne preparerei tantissime: di tutti i tipi.Se ne avete voglia anche voi, date un’occhiata qui.

Lo scorso week end è salita mia madre che ancora non aveva visto la casa post trasloco. A proposito di casa, l’ho detto che si è rotta la lavastoviglie.
E l’ho detto che, per mettere sù uno dei due box doccia, hanno bucato un tubo dell’acqua?
E che mi sono rotta le palle, l’ho detto?

Chi siete? Cosa volete? Dove andate? 10.000 fiorini.

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Dovete cambiare residenza da un indirizzo all’altro dello stesso comune? Preparatevi a contare i peli che avete perché ve ne chiederanno il numero.

Stamani io e Donald siamo andati per la seconda volta (la prima era un Sabato mattina e “no, il Sabato l’anagrafe è chiusa”) in comune per fare il cambio di residenza.
Alle 08 siamo già lì davanti al cancello, pronti a scattare allo sportello come leoni sulle gazzelle. Alle 08.30, puntuale, il cancellone di ferro con le punte sulla sommità sparisce dentro una feritoia buia che ricorda antichi castelli medievali: il tempo di domandarmi cosa mai ci fosse lì dentro che scatto al banco informazioni.
Lì si assiepa anche una folla smanacciante, nemmeno a Wall Street ci sono tante urla e mani che si agitano.
Cerco di aggredire lateralmente il bancone e di catturare l’attenzione di un impiegato, svogliato già alle 08.32. E’ anche un po’ scocciato e mi guarda con fastidiosa alterigia.
Chiedo il numero dello sportello per cambiare residenza e questo mi risponde che tanto ci vogliono dei documenti che io sicuramente non ho.
Interviene una sua collega mentre lui va a trattare male qualcun altro: lei mi spiega distrattamente che, con le nuove norme, ci vogliono dati contenuti sul contratto della casa.
“Ha con sé il contratto?”.
“No, non credevo servisse”.
“Sì, serve. Arrivederci”.

Arrivederci il cazzo.
Sta per scavalcarmi con lo sguardo buttando attenzione altrove quando Donald interviene chiedendole di non trattarci come due idioti. Glielo chiede tra l’incazzato e l’incazzato, così lei abbassa la cresta, si sposta sulla sinistra e ci spiega gentilmente cosa dobbiamo compilare e come.

Ogni volta che vado in comune o in un ufficio analogo mi assale l’ansia da prestazione: 7 volte su 10 non ho i documenti che occorrono o non li ho tutti o devo tornare perché c’è un’eclissi in corso. Al momento, sulle 350 pagine da compilare per il cambio di residenza, devo anche indicare il numero di patente.
Io però la patente non ce l’ho ché me l’hanno rubata.
La patente non me la danno finché non indico un nuovo indirizzo sicuro (quello attuale della casa vecchia non è attendibile perché non sono presente, perché non c’è un portinaio, perché non ho la cassetta della posta e perché non c’è il nome sul citofono).
Quindi? Oltre a sbattere la testa contro il muro, che posso fare?

Alla fine siamo usciti senza concludere nulla e con la rottura di dover tornare per la terza volta: fortuna che davanti al comune c’è una California Bakery coi suoi muffin al cioccolato.

Bazaar.

Schermata 2014-09-30 alle 15.14.40Una casa vecchia + una casa vecchia = una casa nuova piena zeppa di cose.

La convivenza ha portato me e Donald non solo ad unire le nostre teste vuote sotto un unico tetto ma anche tutto ciò che avevamo nelle nostre rispettive dimore.

Al momento, quindi, possediamo alcuni oggetti in così grande quantità che potremmo mettere su un negozio.
Un emporio di quelli del Far West dove si trovava di tutto.

TAZZE: siamo campioni mondiali indiscussi di tazze, tazzine, tazzette e tazzotte.
Di tutte le forme, le grandezze, i colori e gli usi.
Ne abbiamo anche una con una mucca attaccata ma è la mia preferita, non posso venderla.

TOVAGLIETTE PER LA COLAZIONE: come sopra.
Tonde, rettangolari, quadrate.
Di stoffa, di plastica, di paglia.
Lisce, intracciate, stampate.
Posso permettermi il lusso di abbinarle con le tazze. Tsk.

LAMPADINE: io non so perché, ma siamo cintura nera di lampadine.
Ne abbiamo tantissime e di tutti i tipi.
Dove le tenessimo prima, perché non le abbiamo mai usate e, soprattutto, perché ne avessimo comprate così tante, lo ignoro.

PILE: idem.
Come diavolo abbiamo fatto a ritrovarci con così tante confezioni di pile? Lo ignoro.
Sospetto però che, come le lampadine, siano giunte tutte quante dalla vecchia casa di Donald. La cosa buona è che non avremo mai problemi con telecomandi e torce. La cosa cattiva è che lui continua compulsivamente a comparne.
Sì, anche le lampadine.

FELTRINI: avete presente quei cosi morbidi da mettere sotto i mobili per spostarli senza rigare il parquet? Quelli.
Tondi, quadrati, rettangolari.
Rettangolari grandi da tagliare. Bianchi, neri, grigi e marroni.
Possiamo spostare mobili tutti i giorni anche alle 2 di notte che non ci sente nessuno.

ASCIUGAMANI & LENZUOLA: Gabel, Bassetti, Caleffi, non siete nessuno.

DETERSIVI & IGIENE PERSONALE: Procter & Gamble chi?

Ho deciso, metterò un banchetto sul marciapiede sotto casa  col cartello: “Di tutto di più, a meno”.

La colazione.

Dimagrire-a-colazione-cosa-mangiareDopo un mese di convivenza ho scoperto che c’è una cosa che mi piace tantissimo: preparare il tavolo per la colazione.
Lo faccio la sera, prima di andare a letto.
E’ un rito sempre più conosciuto, rassicurante e nuovo ogni volta.

Soprattutto, mi piace sapere che c’è chi vuole la tazza grande, chi il cucchiaio piccolo, chi preferisce i Kellogg’s normali, chi gli Special K e chi le Gocciole.
Mi piace sapere che loro 4 vogliono il latte freddo mentre io caldo, che in 3 vogliamo il caffè ma il primo bipede lo beve a parte, nella tazzina.
Che in due mettiamo lo zucchero di canna e gli altri bianco.
Che io ho la tazza blu col manico e loro bianca, senza.

Mi piace vederli arrivare a scaglioni, in pigiama, con le penne arruffate ma svegli come grilli.
Mi piace quel momento lì, con tutta quella gente lì, sospeso e sospesi all’inizio del giorno.

Polvere, mobili e Champagne.

Dai sù, dai, dai che ce la facciamo. Dai che tutto si compone, che tutto finisce e finalmente ste 4 pareti col tetto diventano una casa. Dai.

Se Dio ci assiste, Venerdì il bagnetto è pronto. I muratori se ne vanno con i loro secchi e i loro attrezzi e io posso finalmente staccare la carta dal pavimento, messa per evitare che lo uccidessero del tutto e ricettacolo di polvere che manco uno swiffer passato in soffitta.

Ormai passiamo ogni minuto libero a montare mobili, all’Ikea siamo di casa e io sono in modalità *rigetto*. Abbiamo anche comprato l’aspirapolvere nuova ed è impensabile come questo mi abbia reso felice: sorridere per un elettrodomestico nuovo che ti dia veramente in quello che devi fare. Fa molto casalinga anni ’50, quando tutto era una novità e un aiuto concreto, lo so, ma provateci voi a togliere polvere con un robo vecchio che non aspira ma sputa o una scopa che la sposta da qua a là senza un senso. Oh.

In tutto questo , però, Domenica ci siamo presi una pausa e per il compleanno di Donald siamo andati a pranzo in Monferrato. Gli ho fatto una sorpresa e l’ho portato “A casa di Babette” ,  una locanda champagnerie a Rosignano Monferrato. Abbiamo mangiato molto bene, in un ambiente country chic, e bevuto meglio: la carta propone sia vini locali sia Champagne. Arrivano tutti da piccole aziende francesi e non superano le 40 euro a bottiglia.
In più, un servizio veloce, cortese e una crema al gorgonzola, mascarpone e champagne come loro storica entrée, ne fanno un posto consigliato.

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“Sei già in piedi oppure dooormiiii?!”

Svegliarsi e parlare canticchiando una canzone di Frozen, proprio nel senso di mettere in musica tutto ciò che ci stavamo dicendo, non è esattamente segno di sanità mentale. Ma come possiamo esserlo nella situazione casalinga in cui ci troviamo?
Ieri sera, per dire, entriamo e ci troviamo una vasca in cucina.
Stanno infatti rifacendo un bagno, quello che faceva piovere al piano di sotto, e aggiunto disastro al disastro.
Certo, a voler essere ottimisti, si intravede la luce in fondo al tunnel: la casa, piano piano, sta prendendo forma. Se si socchiudono gli occhi e si guardano solo gli angoli (pochi) in cui non sono ammassate cose, è vivibile e bella.
Mi fa ridere il fatto che io pensavo di sistemare tutto nella settimana successiva al trasloco. Ahahahhah, che tenerezza.
Donald dice che sarà tutto sistemato a fine Ottobre, io pretendo prima.
Sennò parto per le Galapagos e torno a Marzo.

Sarà pronta a Marzo?

Ce la faremo. Forse.

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Ad un mese e 5 giorni dal trasloco, casa nostra è nel caos.
Alcuni scatoloni giacciono per terra perché mancano i mobili che andrebbero riempiti.
Nello studio campeggiano i mobili che venderemo perché non sappiamo dove mettere.
I lampadari vanno ancora attaccati e così anche i quadri.
Di 3 bagni non ce n’è uno che funzioni a pieno regime.
Uno in particolare, quello in cui c’è anche la lavatrice, ha una perdita.
Da qualche parte, qualche tubo s’è (verosimilmente) rotto e rende gocciolante il soffitto di quelli del piano di sotto.
Questo significa che gli operai dovranno tornare e cercare il danno, aprendo in due il pavimento.
Poi, già che ci sono, non potranno limitarsi a spaccare quello del bagno ma si spingeranno fino in cucina, confinante. In sostanza, io finirò in manicomio per avere la casa disastrata a poco più di un mese dall’entrata ufficiale. Se contiamo che il proprietario ha cominciato i lavori a Marzo, che non ha preso in considerazione l’idea di controllare le tubature (nonostante la casa fosse disabitata da anni) e che pretende un fior fiore d’affitto, capite che nel cesso ci finisce la sua testa, no?

Il portinaio chiede sempre 2 volte. Ma anche 3 o 4.

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Ci siamo stabiliti in casa nuova e governiamo il tutto dall’interno.
Il tutto significa scatoloni, falegnami, idraulici, allarmisti, L, santa signora delle pulizie che se non ci fosse mammamia.

In tutto questo, il portiere tenta di carpire più informazioni possibili sulla nostra vita e il nostro status.
Non risparmia domande ad ogni mio passaggio e, l’altro giorno, l’ho trovata sul pianerottolo che spazzava brontolando: “Questo non è di mia competenza eh?!” informandosi subito dopo se avremmo dormito lì la sera stessa.
L’apice è stato quando m’ha chiesto se avessimo figli:
“Sì, lui ne ha 3”.
“Ah. Come “lui ne ha 3”?”
“Eh, sì. Ci sono 3 figli e sono tutti suoi”.
“Ma … ah. AH sì?”
“Sì (dioquantoticivuoleacapire). Lui è separato e ha 3 figli”.
“Aaaaaah, quindi lei “è la seconda moglie” …”
E dice “seconda moglie” muovendo la mano per intendere “una roba da niente, poca cosa, una cosa che non conta granché”. Io ho abbozzato senza specificare che non sono nemmeno la moglie ma solo la compagna, avevo paura mi mettesse nel bidone dell’indifferenziata a testa in giù.

Diciamo che al momento, prima ancora di riordinare la casa, il mio obiettivo principale è evitarlo come la peste.