Giovani, folli e liberi.

Giovani, folli e liberi è un articolo che ho trovato (e letto) su D La Repubblica e parla degli adolescenti. Della loro visione entusiastica della vita e del mondo, così diversa da quella degli adulti che invece hanno un approccio più razionale e meno estetico. Che, non dimentichiamoci, deriva dal verbo greco aisthanomai “sentire”. E gli adolescenti sentono tutto per la prima volta con un misto di paura e follia che li incatena e li lancia a vivere tutto in modo estemporaneo basta esserci, basta vivere, basta sperimentare, sentire. Appunto.

I figli di Donald sono 3 adolescenti e io mi ritrovo a guardarli un po’ dall’alto, un po’ da lontano, un po’ da vicino. In mezzo a loro, direi.
Un po’ mi fanno paura e un po’ tenerezza. Un po’ li invidio.
Perché, ad oggi, so che non ho vissuto a pieno l’adolescenza.
Non sono stata folle né libera, non mi sono buttata, non ho tirato fuori la lingua per assaporare la pioggia né mi sono sdraiata sull’erba.
Ero ingabbiata e recintata. Regolare e razionale.
Sì, recintata, regolare e razionale.

E quindi vedo in loro la mia occasione persa e li scruto, li studio, li osservo e li guardo come si guarda un film: curiosa di sapere quale sarà la prossima mossa, il prossimo pensiero, la prossima battuta. Così sghangherati e solidi, acerbi e maturi, curiosi e stanchi, incerti e sicuri. Perché l’adolescenza è anche questo, procedere a piccoli passi con la voglia di andare alla velocità della luce in un guazzabuglio dove tutto è il contrario di tutto.

14 anni e le idee chiare.

9257679-cibo-gustoso-pane-fresco-pagnotte-e-rotoli-in-un-cesto“A quanti anni ti sei trasferita a Milano?”.
“A 25”.
“Per studio?”.
“Sì, per un master”.
“Chissá se anche io potrò andare via da Milano…”.
“Beh, finito il liceo perché no. Dove vorresti andare?”.
“Nel New Jersey, a fare la panettiera”.

PL, la bipede di mezzo, ha già un ottimo piano per il futuro.

Mela C Mela V

parliamo_noi_03Ieri sera SDD, il bipede maggiore, è andato alla festa della scuola organizzata per celebrare l’inizio dell’anno (io festeggiavo la fine, non l’inizio, vabbè). Tutti nella piazza antistante il liceo e chissene frega della pioggia. Per l’occasione s’è comprato pantaloni, scarpe e CAMICIA nuovi. Ah, anche il profumo che si è accuratamente spruzzato dalla testa ai piedi. Stava bene ed era diverso, più grande. Più consapevole e “attento all’immagine”. E’ uscito alle 21.30 ed è tornato all’01. Da mezzanotte meno un quarto fino a che non è entrato in casa, sono stata sveglia con gli occhi a palla. Ad un certo punto, gli ho mandato un messaggio in punta di piedi solo per accertarmi che fosse vivo. Era vivo.

Tanto per tenere il cervello impegnato e l’ansia a bada, ho pensato a cosa potrebbe provare un ragazzino quindicenne alle prime feste notturne: non posso fare un paragone con me perché io a quindici anni non andavo ad alcuna feste né avevo interesse verso i miei coetanei. Mi sono sempre piaciute persone più grandi, inarrivabili e che comunque non frequentavano i posti (pochi) in cui andavo io. Dunque, pagine e pagine di diario riempite da sospiri evanescenti. Nulla più.

Ma oggi, e a Milano, è diverso: i ragazzi sono molto più liberi sia a livello fisico (escono di più) che tecnologico (anche in casa, sono connessi costantemente col mondo) quindi hanno molte più occasioni di “fare esperienza”. Che sia un bacio, un abbraccio, un pezzo di strada insieme, un rifiuto, una bevuta, una cazzata. E allora mi chiedevo cosa provasse lui, se avesse qualche speranza, se gli sia battuto il cuore vedendo proprio lei, se fosse inebriato da quella piccola porzione di libertà che gli permetteva di essere in una piazza, di notte, tra la musica e i suoi amici. Se sperava succedesse qualcosa che poi invece non è successo o se, al contrario, sia stato colto di sorpresa per qualcosa che non si aspettava.

Chissà.

Quel che so è che sta cominciando adesso a incontrare situazioni che poi si ripeteranno come fotocopie per tutta la vita: stesse dinamiche, stessi giochi, stessi dolori, stesse gioie, stesse speranze e stesse delusioni. Solo, con più esperienza e strumenti per affrontarle.

O forse no.

Non davanti a quella porta.

Questa mattina ho avuto la netta sensazione che si sia ricongiunto uno dei tanti cerchi di cui è fatta la vita.
Alle 09 e qualcosa ho accompagnato a scuola SDD, il primo bipede del trittico.
L’ho accompagnato col mio scooter scarcassato e un po’ sporco. Lui aveva un casco grande che, tra i vari caschi di casa, ha scelto con titubanza. Credo non gli piacesse affatto.
Ci stavamo avvicinando a scuola e mi è venuto spontaneo un pensiero: l’avrei lasciato qualche metro prima dell’ingresso principale, vicino ma non troppo. Non davanti.
Mi sono ricordata della me liceale e ho pensato che in fondo siamo tutti uguali, generazione dopo generazione. Io non volevo che mi portassero in bocca al portone della scuola, mi vergognavo come una ladra. Certo, la Panda color dentifricio non mi aiutava ad essere disinvolta. Ad ogni modo i genitori erano presenze ingombranti e non so, essendo figlia unica, se fratelli e sorelle avrebbero fatto un effetto diverso. Stamani, quell’imbarazzo che provavo io, l’ho evitato a lui. Senza una parola, una richiesta, un sottinteso. Come fosse la cosa più naturale del mondo. Io lo sapevo, e anche lui, che andava bene così.

La scacciatrice notturna di adolescenti.

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Perché dormire, all’01 di notte, quando posso scacciare adolescenti da sotto la finestra di altre adolescenti?

È una calda sera di Giugno e 2 tredicenni femmine sono in camera, vicino ad una finestra spalancata. Ma ecco che, magicamente, arrivano 3 **enni maschi sotto la stessa finestra. Principi dell’anno 2014 che miagolano alla luna. Sì, alla luna. Vabbè.

Poi arrivo io, la strega cattiva.

Questa, però, è una favola moderna e qui la strega compare per mettere in salvo le due principesse: due occhioni taaanto ingenui mi dicono “Sono CAPITATI qui sotto ma adesso vieni tu a mandarli via”.

Certo, CAPITATI. A caso. Improvvisamente. E proprio sotto la finestra giusta.

Che culo sti principi oh.

Mi sporgo dalla finestra con la faccia più seria che ho, ringraziando il cielo che nessuno possa vedere i miei boxer coi pinguini, ed esordisco con un perentorio “BUONASERA!”.

Il principe ricciolo ridiventa un ranocchio minuscolo e balbetta un buonasera, quello biondo fa finta di nulla e tenta di sparire appiccicandosi al muro, il terzo è dall’altra parte della strada, al telefono, e se ne sbatte altamente. Rinfrancata, e parecchio stupita, dal terrore che pare stia incutendo continuo a recitare la mia parte, sostenendo il ruolo con una certa dose di carisma e autorevolezza. Sono o non sono la cazzo di strega?

Resisto alla voglia di buttare di sotto pece bollente al terzo “lei” che sento rivolgermi e cerco l’eclatante gesto finale, quello che chiuda la scena e faccia scendere il sipario: mi aggrappo alla corda e tiro giù d’un botto la tapparella.

Che si incaglia a metà e mi rovina tutto.

L’adolescenza in una stanza.

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Sabato pomeriggio Pensiero Laterale (PL), la bipede di mezzo, ha tentato di infinocchiare i genitori per ottenere il permesso di fare una cosa non a norma. L’hanno beccata e s’è fatta i seguenti due giorni chiusa in camera.

Il primo pomeriggio c’è rimasta senza batter ciglio.
La Domenica ha dato per scontato che la punizione fosse finita e s’è presentata vestita e truccata di tutto punto, rimbalzando in camera come una pallina.
Il Lunedì, esasperata, progettava piani di fuga più o meno leciti: dal calarsi dalla finestra al chiedermi di poter andare in cartoleria a prendere una matita.
Peccato per lei che fosse il 2 Giugno, Festa Nazionale.

Aggrappata al telefono come alla maschera dell’ossigeno, fingeva indifferenza verso il telefono stesso e l’avrebbe ceduto volentieri in cambio della libertà. “Del telefono non mi frega nulla, perché per punizione non mi tolgono il telefono e mi fanno uscire?”.
“Per lo stesso motivo per cui se mi proibiscono di mangiare i broccoli me ne sbatto ma se mi levano la cioccolata vado fuori di testa”.

Fuori, un mondo fatto di amicizie e “storie a grandi linee” (cit.) continuava la sua vita: si incontrava in piazza, per strada, al parco. Chiacchierava, si muoveva e tesseva garbugli.
Lei alla finestra friggeva di voglia.

La guardavo e pensavo a me, a quando in camera ci finivo io. Senza cellulare, senza computer, senza chat di whatsapp da riempire con le mie incazzature di adolescente contro gli adulti stronzi. Pagine di diario, quelle sì che le riempivo tra lo sguardo fisso sul termosifone e oltre la finestra. Che mi andava pure di sculo perché l’unica cose che potevo vedere era il mio giardino. Bella consolazione la pianta d’acero, no?

Cazzata – punizione – altra cazzata – altra punizione. L’adolescenza passa anche così che “Se non le faccio adesso, quando le faccio? Così almeno sarò un’adulta calma”.